lunedì 16 luglio 2012

Stregonerie


Barbara Valdonio


Domenica 1 maggio 1593 – Villa Smith

È una notte senza luna.
Passi scricchiolano sulla ghiaia del vialetto.
Una torcia illumina il cammino di due figure incappucciate. Portano al passo i loro cavalli; uno dei due trascina un sacco, o quello che al buio chiunque potrebbe confondere per un sacco, piuttosto pesante. 
Una lunga corda si distende dalla sella dell’animale e si annoda su due gambe fini e livide. Due piccoli piedi scalzi, sporchi, a fare da fermo al nodo. Lacere le vesti, montate fin sopra il capo. Sanguinanti e graffiate le carni del corpo, la mani, le braccia, la schiena, il viso.
L’altro cavallo trascina un albero, che perde un po’ delle sue fronde, pronte ormai a seccarsi, su ogni pietra e rugosità del terreno.

L’abbiamo tenuta legata per dieci giorni.
L’abbiamo privata di tutto: il cibo, il sonno e l’onore.
Ne abbiamo ottenuto in cambio solo una composta dignità.
“Strega.”
S’abbatte la scure.
Lacera le candide carni, il legno nodoso.

La gente, paesani, contadini, dame e nobili s’accalcano già attorno al centro del cortile, dove sorgerà, entro pochi minuti, la pira di rami del suo vecchio albero.
Tutti presenti al grande evento. I bambini sulle spalle dei genitori, vili, ignobili, silenziosi accusatori.
Tutti presenti per non essere a loro volta accusati.
I due uomini liberano l’albero dalla bardatura e sfoltiscono il tronco dai rami. Metodici, accatastano rami e fronde al centro della piazza, poi legano la donna al tronco, ormai spoglio dei suoi orpelli, e lo issano in alto, ben saldo, sopra la pira.

L’abbiamo spogliata di ogni veste, in cerca dei segni del Diavolo. C’erano.
L’abbiamo interrogata per ore, ogni giorno.
Ne abbiamo ottenuto in cambio solo un disarmante silenzio.
“Strega.”
S’abbatte la scure.
Strazia le candide carni, il legno nodoso.

La folla freme e spinge, per vedere di nuovo il volto della donna. La conoscono in tanti, molti di loro si sono rivolti a lei, in passato, per risolvere qualche malanno o aiutare un parente a vivere una dolce morte. Lei li curava tutti, sempre, senza pretendere nulla in cambio.
Ora, il terrore nei loro occhi, non è per i lividi e il sangue sulla sua pelle, ma per la paura di essere chiamati a rendere conto delle proprie azioni. Delle proprie conoscenze.
Un servitore si allontana dalla piazza. Entra silenzioso nella villa e ne esce poco dopo con una torcia accesa.
Il padrone di casa si affaccia alla finestra.

L’abbiamo umiliata e minacciata.
L’abbiamo abbandonata due giorni, sola, dimentica del mondo.
Ne abbiamo ottenuto solo un candido sorriso, spaventato.
“Strega.”
S’abbatte la scure.
Strazia le candide carni, il legno nodoso.

Basterà un cenno di quella mano, del padrone, e il fuoco purificatore passerà dalla torcia, custodita dal servitore di Dio, alla pira, dove brucerà la schiava di Satana.
Basterà un cenno di quella potente mano e sulla folla calerà il più irreale dei silenzi, così che si potrà distintamente udire il crepitio delle fiamme.
Basterà un cenno di quella maledetta mano e la donna brucerà tra le fiamme dell’Inferno, per assurgere alla gloria del Paradiso.

L’abbiamo dissanguata, ma non fino a farle perdere le forze.
Le abbiamo curato ferite profonde, per potergliene infliggere altre.
Ne abbiamo ottenuto solo cieca riconoscenza.
“Strega.”
S’abbatte la scure.
Strazia le candide carni, il legno nodoso.

Voleva conoscere il suo segreto, il padrone, voleva sapere il segreto dell’albero “magico” a cui lei era tanto legata, voleva sapere come faceva a sconfiggere malattie che lui stesso non era in grado, non solo di curare, ma anche di comprendere e diagnosticare.
Per questo ha pagato alcuni villani. Perché l’accusassero di stregoneria e la portassero al suo cospetto per essere processata. Per restarne fuori, pulito, immacolato.
Per la brama di conoscenza. Per l’invidia dell’ignoranza.

L’abbiamo legata per i capelli e appesa nel vuoto.
Le abbiamo strappato le unghie, una per una, piano.
Ne abbiamo ottenuto solo un irrigidirsi dello sguardo.
“Strega.”
S’abbatte la scure.
Strazia le candide carni, il legno nodoso.

La mano del padrone si alza verso il cielo. Il braccio del servitore si abbassa sulla pira.
Le genti intorno tacciono. Sale il fuoco sui rami nodosi, sale il fumo di quell’albero ancora verde.
In pochi minuti la pira è accesa, ardente. Il fumo avvolge la giovane nella sua nebbia.
Qualche bambino piange, le donne si coprono gli occhi, gli uomini si scambiano sguardi carichi di compassione. Adesso.

La sentenza è data, il Giorno del Giudizio è arrivato.
Sfinita e dolorante, la strega ha poggiato dolci occhi su me, mentre le cambiavo le catene.
Non so con quale sortilegio mi abbia ammaliato, so solo che quando sono rimasto solo con lei in quella stanza della villa, ho avvertito un moto di pietà.
Una ciotola d’acqua e alcune gocce di Giusquiamo, per l’ultima concessione al condannato a morte. Questa la giustificazione con me stesso.

Brucia sul rogo la donna.
Arde di fuoco il magico Pino nero.
Brucia l’ignominia delle genti.
Arde la sete di vendetta dell’uomo.

Foto di Cindy Andrie


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