La
prima volta che lo vidi stava dormendo sotto la saracinesca di un vecchio
stabile caduto in disuso. Era nella San Lorenzo del duemilasette ed io ero al
secondo anno d’università. Non lo avevo mai incontrato quando abitavo sulla
Tiburtina, ma da quando mi ero trasferita a Piazza Bologna, spesso mi capitava
di sentire i suoi ghigni ai passanti. Le sue parole apparentemente profetiche,
a un ascolto più approfondito, si scoprivano sessuomani.
Stavo
dicendo … la prima sera che lo vidi credo che stesse male. Era steso su di un
gradino, aveva un cartone di Tavernello spiaccicato in faccia e impastava tra
bava e insulti osceni una canzone di Tiziano Ferro. Era febbraio, si gelava,
pensai che dovesse avere parecchio freddo, ma poi Angela ci incitò a correre,
perché il ventinove notturno stava arrivando.
Quell’anno
avevo un fidanzatino a Via dei Reti, così mi capitava spesso di udire l’uomo
del Tavernello blaterare davanti al GS. A fine anno mi trasferii di nuovo e
passò tanta acqua sotto i ponti.
Avevo
trovato un lavoro pomeridiano verso Boccea e passavo il mio tempo libero avanti
e indietro per la metro A da Arco di Travertino a Cornelia.
Nel
duemiladieci vidi per la prima la neve a Roma. Tornò anche l’estate, la nuova
sessione di esami, e la mia salute continuava ad accendersi a intermittenza.
Il
quattordici giugno duemiladieci superai l’esame su Christa Wolf con un bel
trenta e lode, ma festeggiai con un’emorragia al naso che fermò soltanto
l’otorinolaringoiatra dell’ospedale San Giovanni.
Col
passare del tempo sembrava allontanarsi anche la freschezza giovanile, ero
sempre più snervata da quella città, delle bollette Acea, del non poter
arrivare alla fine del mese senza il debito di qualche decina di euro con i
coinquilini. In piena crisi isterica impacchettai tutto e partii.
Non
sapevo che mi sarebbero aspettati tempi ancora più duri, ma avevo bisogno di
rinnovare le mie energie. Decollai verso la Germania. Trovai un posto in un
ristorante greco. Il lavoro era veramente duro, ma la paga ottima. Ero
completamente isolata dal noto, eclissata, sfiancata, ma stavo bene e avevo
anche ritrovato l’appetito necessario. Finalmente non avevo bisogno di nessuno.
Ero veramente libera.
Abitavo
ad Augusta: amavo quella città. Era così moderna e tetra, così tipicamente
bavarese, ma anche degradata al punto giusto. Mi piaceva passeggiare sotto la
pioggia molesta, incontrare le solite facce bionde e udire quella lingua a me
tanto cara.
Spesso
pensavo a Roma, soprattutto la sera, prima di addormentarmi. Vedevo le immagini
delle notti di pioggia a San Lorenzo, le sciarpe colorate, la musica dal vivo e
i miei vecchi amici. Chiudevo gli occhi e lasciavo colare le immagini.
Era
tutto pronto per l’indomani. I greci avrebbero dovuto garantire un pranzo da re
a una ventina d’italiani famosi. Erano tutti docenti universitari, gente di un
certo livello, studiosi, dottorandi e ricercatori. Klaudia non sapeva bene se fossero
politici o economisti. Le spiegai che in Italia ormai non c’era differenza tra
i due mestieri.
Già
mi preparavo a dover affrontare le domande dei languidi e gli sguardi snob dei
manager di successo con giacca e cravatta. Non so perché, però, ero felice di
trovarmi dalla parte della forza lavoro. Non avevo mai avuto un orientamento
politico, ma ero lieta davvero che la mia effige fosse sul lato povero della
medaglia.
L’indomani
purtroppo arrivò troppo presto e il locale fu invaso da manager vestiti a
festa. Mangiarono tantissimo. Tutti i colleghi, fortunatamente, riuscirono a
contenersi nel far sapere ai clienti che io fossi italiana. Ebbi il tempo,
quindi, di osservare da lontano.
Avevamo
creato due tavole per trenta persone, ma gli ospiti erano trentasei, così
dovemmo allestire altri due tavoli: uno da quattro persone e l’altro da due.
Io
servivo l’ala con le tavolate, mentre Klaudia quella con i tavoli più intimi. Per
fortuna, il bagno era dal lato dell’ala gestita da Klaudia, così potei
sbirciare anche gli altri personaggi recandomi a urinare.
Fui
colpita dal tavolo da due: un uomo e una donna. La donna era di sicuro tedesca e
non sembrava far parte del collegio di saccenti. L’uomo, benché vestito in modo
distinto, aveva la barba e i capelli incolti e sfoggiava dei denti giallo-nero
da guinness dei primati. Non appena mi vide, quel tizio iniziò a mugugnare, a sorridere
e a muovere le braccia come se volasse. M’invitò
con la mano ad avvicinarmi, mi mostrò un disgustoso risolino e disse: «Osannavo
le tue cosce a Via dei Sabelli. Cosa ci fai qua? ». La donna, senza capire cosa
stesse dicendo, rise rumorosamente e lui le infilò una mano sotto la gonna. Con
l’altra mano prendeva il prosciutto e lo ingoiava intero sputando saliva.
Il
racconto è scritto per la prima traccia del contest indetto da Ritratti d’autore per il primo incontro.
Tema : “Incontri
improbabili, in luoghi altrettanto improbabili".
Anna Maria Parente è nata a Sapri nel 1986. Dopo la
maturità scientifica ha studiato lingue presso l’università La Sapienza di Roma, dove ha conseguito
la laurea specialistica in Traduzione (per germanistica e anglistica). Ha
lavorato in Baviera nel 2011, mentre nel 2012 ha frequentato il corso per
l’insegnamento della lingua italiana agli stranieri presso l’istituto Torre di Babele a Roma.
Foto di dongyoung
jung
http://www.stockvault.net/photo/101199/mime
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Ma questa è una scrittrice da Best-seller!!! :)
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